Tra queste c’è anche quella dell’introduzione del lavoro agile nella nostra azienda, che intendiamo avviare in via sperimentale a partire dal 2025.
Partiamo innanzitutto dal comprendere il significato di “lavoro agile”. Il lavoro agile (smart working nel suo senso più ampio) è una modalità di prestazione dell’attività lavorativa che pone il focus su ciò che viene fatto, piuttosto che su tempi e luoghi rigidi di lavoro. Maggiore flessibilità a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Ciò significa maggiore consapevolezza di sé, delle proprie competenze, autonomia, modalità lavorative, capacità di organizzare il proprio lavoro e quello in team. È un cambio di mentalità che non riguarda solamente l’aspetto lavorativo ma la vita delle persone!
Oggi nella maggior parte dei casi, misuriamo le persone per la loro presenza in azienda ma ciò in realtà non è commisurato ai risultati aziendali. Il controllo della presenza è solo un’illusione di misurazione di una performance.
Il lavoro agile è un progetto di business, non un progetto HR: prevede una definizione di obiettivi, di strategia; si basa su un accordo tra le parti che può andare oltre le giornate e gli orari ed una reciproca presa di responsabilità che nasce da un dialogo, un confronto e procede con un feedback continuo, quale sistema di restituzione e nutrimento, non di giudizio.
Oggi i lavoratori delle giovani generazioni (sempre meno numerosi), ci stanno chiedendo di poter dare un senso a ciò che fanno, forse perché molto di ciò che ci/li circonda non ne ha più e ci chiedono la possibilità di vivere una vita che gli consenta di poter armonizzare vita professionale e personale. Sinceramente lo trovo un bel driver sul quale potersi orientare.
La legge 81/2017 ci dice che la “motivazione principale del lavoro agile è incrementare la competitività e agevolare la conciliazione vita-lavoro”. Il primo motivo è l’incremento di competitività. Non è principalmente uno strumento di welfare. Non va visto come una concessione perché nel lavoro la merce di scambio dovrebbe essere il lavoro, non la qualità di vita. E già questo aspetto meriterebbe un’ampia riflessione. Ciò che dovrebbe poter essere un diritto delle persone di poter vivere una vita vivibile, invece di una corsa a ostacoli, è diventato merce di scambio tra lavoratori e aziende. E quindi qual è oggi il valore del lavoro? A cosa attribuisco valore?
Di recente Amazon ha dichiarato che nella divisione AWS ossia Amazon Web Service, il maggior provider di servizi cloud del mondo, i lavoratori, da gennaio, dovranno tornare in ufficio 5 giorni su 5, perché con la modalità smart non riescono a lavorare su progetti innovativi.
Ci sarebbe un’analisi un po’ ampia da fare, dall’esterno non si può mai sapere cosa esattamente sta accadendo ma sincerante la motivazione mi sembra debole. Ci sono molti strumenti che permettono di lavorare molto bene, in modalità sincrona, da remoto esattamente come in presenza e dubito che Amazon ne sia sprovvista.
Ciò che ritengo più probabile è che non sia stato costruito dall’inizio quel progetto strutturato, di accordo tra le parti, di definizione di modalità organizzative, basato prima di tutto su rapporti di collaborazione e fiducia, che permettono al contrario un incremento di produttività e contestualmente la possibilità di mantenere la relazione con i colleghi con giornate in presenza e altre da remoto.
Quali? Quante? È tutto da definire e possono/devono variare in modo intelligente e funzionale, in base alle necessità prima di tutto organizzative, soprattutto quando si stanno affrontando periodi cruciali per le aziende.